venerdì 22 gennaio 2016

Il suicidio.

 Mi sono sempre sentita così incredibilmente attratta dalle persone che hanno posto fine alla loro vita suicidandosi.
Mi sono sempre sentita vicina a loro, li capivo.
La prima volta ci ho pensato a 11 anni, perché avevo 11 anni ed ero già terribilmente infelice e ci sentivo qualcosa di profondamente ingiusto in tutto questo e quindi capivo quelle persone che a un certo punto avevano detto: sai che c'è? Basta! Basta di tutto! Non ci sto! Fanculo! Basta!
E si erano tolte di mezzo, facendo del male solo a se stesse in definitiva – e a pochi altri.

Beh... un po' anche a me. Che avevo letto le loro poesie o romanzi, o avevo visto le loro foto e avevo amato quello che avevano fatto e restavo senza parole e spaventata chiedendomi: perché?
Avevi tanto talento. In alcuni casi, avevi anche successo!
Perché l'hai fatto?

È un mistero doloroso, insoluto, insondabile e tremendamente affascinante quello del suicidio.
E penso mi ferirà, angoscerà e affascinerà oscuramente per sempre.
Poi una volta un tale mi aveva letto nella mano che in una vita precedente avevo “commesso” (così si suol dire) suicidio e che poi avevo dovuto soffrire a lungo in una sorta di limbo ed espiare questo suicidio, prima di rinascere.
Il ché potrebbe spiegare perché i suicidi mi colpiscano tanto.
Il suicidio è anche, sempre, una possibilità: una via d'uscita.
In fondo, chiunque potrebbe commettere suicidio.
Lo fanno in tanti, senza essere artisti o scrittori, solo semplici imprenditori pieni di debiti, per esempio o disoccupati...
Quasi sempre persone che vengono rimpiante, ma nemmeno sempre e per forza.
A volte si suicidano anche persone del tutto anonime, senza amici, di cui nessuno si accorge e si suicidano proprio per questo.
A me dispiace anche per quelle.
Anche quelle avevano qualcosa da dire, da dare, una speranza che sarebbe stato importante coltivare.
Nessuno è inutile.
Tranne quelli che il loro male di vivere lo buttano sistematicamente e reiteratamente addosso agli altri, danneggiandoli in ogni, seppur piccolo e minuzioso, modo.
E un po' mi dispiace pure per quelli, ma quelli, chissà perché, al suicidio non ci pensano proprio mai!
Beh, certo, non è gente che tende a interiorizzare...

Ho pensato a questa cosa perché stasera ho visto il film su David Foster Wallace e perché ho amato Sylvia Plath (non subito, partendo dai diari a tratti la trovato pesante e a volte odiosa, perché era odiosa con se stessa), ho sentito il silenzio infinito delle foto di Francesca Woodman...
E non mi vengono in mente altri suicidi famosi, ma comunque l'idea è questa.

Ci ho pensato la prima volta a 11 anni, e poi diverse volte dopo la morte di mio padre tra i 15 e i 18, e poi intorno ai 20, e credo qualche altra volta, mi pare anche poco più di un anno fa, dopo che è morto un caro amico – ma era un pensiero molto vago, perché in realtà stavo troppo male, era difficile stare peggio e potevo solo migliorare, ci devo aver pensato solo per qualche istante.

Ecco, il fatto è che il suicidio è pur sempre una possibilità, però è una possibilità legata ad un'ammissione di sconfitta. È come dire: io non ce la faccio a vivere. Non ce la faccio a vivere nemmeno decentemente, non dico bene, ma decentemente!
E quindi mi mando al diavolo!
Mando al diavolo l'unica vita che sono sicura di avere.

A me non piace arrendermi, non mi piace neanche un po'!
E penso di aver sempre fatto molta fatica a farlo, anche in situazioni in cui sarebbe stato molto meglio arrendersi molto prima (relazioni, amicizie, robe di lavoro, imprese bislacche, etc...).

Come si fa a toccare veramente un'altra persona?

Le parole non ci riescono.

Forse i gesti, le azioni.

Il suicidio è un gesto che mi tocca profondamente. Provo un'immensa compassione per chi lo sceglie. Capisco quelli che si dicono: avrei voluto aiutarlo.
E come tutti, so che sia nelle piccole, ché nelle grandi imprese, ci si può aiutare, veramente, solo da soli.

Tutto sta nel rendersi conto di quante volte le cose sono cambiate in meglio, nel passato. Ed è sicuramente così, se no uno perché sarebbe andato avanti?
E quante volte sei riuscito a fare una cosa che credevi impossibile?
E quindi perché negarsi la possibilità di fare altre cose, che oggi paiono impossibili, domani?

Fai degli esperimenti, no?
Rischia tutto! Fai delle cose impensabili, dai! In fondo se l'alternativa è la morte, reale o metaforica, la sconfitta, totale o parziale: perché non tentare?
Tenta, cazzo, tentaci!
Se non provi, hai già perso.
Se provi, magari va, oppure si aprono altre possibilità, cosa ne sai?
La vita sa essere una grande drammaturga.
Non pensare che sia sempre tutta la stessa sbobba.
La vita, certo, a volte è come un computer. Se tu rifai lo stesso percorso ti dà sempre, immancabilmente, lo stesso risultato.
La vita ha un suo lato matematico.

Ma la vita è anche creativa. E appena tu fai un piccolo cambiamento, altri piccoli cambiamenti germinano da questo primo cambiamento e si creano nuovi equilibri e dinamismi.

Se solo non ti arrendi...

Oggi magari è persa, ma domani c'è un'altra partita e cambiano: il campo, i compagni di gioco, gli avversari e puoi cambiare anche tu. Puoi sentirti differente.
I suicidi sono persone sincere, credo. E sono persone molto severe e irreprensibili, con se stesse. Si sentono disoneste o fuori posto per ogni minima mancanza, che solo loro sono in grado di rimproverarsi. Molti altri ci vedrebbero null'altro che semplice debolezza umana.
Si continua a crescere, ci si continua ad evolvere.
Le verità che non sappiamo ammettere oggi, le sapremo ammettere domani.
Basta stare un po' cogli anziani, che una volta erano una ricchezza, nelle tribù.
Sono vecchi, sentono di non avere più niente da perdere, e ammettono molto più facilmente le loro colpe, le loro mancanze, i loro sentimenti, i limiti.

La cosa che fa più male quando perdi una persona è ricordarne i momenti in cui ci si divertiva assieme. Mi pare ancora più terribile nel caso di una persona persa perché s'è tolta da vita, da sé.
E mi c'ha fatto pensare sempre questo film “The end of the tour” che non è comunque un granché, prodotto un po' immaturo, per quanto il materiale di partenza fosse interessante.

E per finire c'è una poesia molto bella e molto spietata di Anne Sexton, che secondo me spiega alla perfezione il suicidio.
Probabilmente è un fascino un po' adolescenziale, quello del suicidio:

la pagina lasciata a metà.

Waiting to die.
-Anne Sexton-

Ora che me lo chiedi, la maggior parte delle volte non riesco a ricordarmelo.
Cammino come sempre, senza segni di quel viaggio.
Poi un desiderio quasi innominabile ritorna.

Nonostante questo non ho nulla contro la vita.
Conosco bene i fili d'erba di cui parli,
le mercanzia che hai messo sotto il sole...

Ma il suicida ha un suo linguaggio speciale,
Come un carpentiere, vuole solo sapere: con quali strumenti?
Non si chiede mai:
perché costruire.

In due occasioni mi sono espressa in modo così semplice,
Ho posseduto il nemico, ho mangiato il nemico,
Ho accettato la sua abilità, la sua magia.

In questo modo, pesante e riflessivo,
più caldo dell'olio o dell'acqua,
Ho riposato, sbavando dall'angolo della bocca.

Non riuscivo a pensare al mio corpo esposto agli aghi.
E anche se la cornea e l'urina in eccesso sono andati...
Un suicida ha già tradito il corpo.

Sebbene i nati senza vita non sempre riescono a morire,
rimangono abbagliati, non possono dimenticare una medicina tanto dolce,
alla quale anche i bambini guarderebbero con un sorriso.

Spinta tutta questa vita sotto la lingua,
che, di per sé, diventa una passione,
La morte è un osso triste, deforme, diresti,

Eppure mi aspetta, anno dopo anno,
per riparare delicatamente una vecchia ferita,
per liberare il mio respiro dalla sua odiosa prigione.

Aggirandosi in questo orizzonte, a volte si incontra il suicida,
pieno di rabbia verso una luna vanagloriosa,
E lo si vede rinunciare al pane, confuso con un bacio,

Lasciare la pagina del libro aperta, con noncuranza,
Qualcosa di non detto, il telefono sganciato,
E l'amore, qualunque cosa fosse: un'infezione.

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